La borsa rossa

di Elena Ciurli

Un racconto scuro nato da un esercizio ideato dalla docente di scrittura creativa Veronica Galletta per la Scuola Carver di Livorno.

Giochi di intrighi e Strategie Oblique.

DO NOTHING FOR AS LONG AS POSSIBLE

do nothing for as long as possible

Era iniziato come un rumore di vetri rotti in lontananza; quelli che potrebbero lacerare polsi e occhi.

Gli ultimi tempi usciva di casa solo per le sue 6.40 in ufficio: cartellino, buste paga, pausa caffè, buste paga, pranzo ipocalorico all’aroma cioccolato, talvolta vaniglia, stretching alla scrivania, buste paga, cartellino. Pizza da asporto, televisione in prima e seconda serata, quattro ore di sonno filate.
Ordinava anche al cinese: involtini primavera e due palline di gelato fritto, quello solo il sabato sera. Ormai chiedeva il solito e la chiamavano Elisa.

Era cominciato con un lieve mal di testa, prendo due giorni, il medico dice di riposare. Mandava giù qualche goccia, diciamo una ventina; per non vedere, per non sentire.

Le piacevano i numeri pari, soprattutto il 24, il giorno del suo compleanno. Non le regalava più niente nessuno, neanche una borsa rossa, come quella indossata dalla sua vicina, che prendeva l’ascensore senza mai salutare, lui che le metteva la mano sulla spalla e la spingeva dentro, senza fretta, solo per guidarla. La voleva anche Elisa, una nuova borsa di pelle morbida, pulita, con la fibbia in acciaio cromato, grande abbastanza per poterci mettere un libro, o il profumo al muschio bianco che usava da sempre. E una mano calda, di quelle che ti accompagnano senza fare pressione, solo per dirti: sono qui accanto a te se ne hai bisogno.

Poi quel paio di giorni si erano dilatati in una settimana, e dopo in due.

Aveva ottenuto l’aspettativa, non potevano licenziarla dopo quello che era successo. Così poteva rimanere a casa tutto il giorno e non vedere più nessuno. Solo il corriere e il tipo del take away.
Era nato quasi per caso, come un dolore alle ossa passeggero, un male di stagione, o una leggera nausea, che resta lì in silenzio, o forse ti parla talmente piano che non lo senti, ma ti taglia dall’interno, lentamente, fino a giungere al centro.
Elisa era rimasta senza far niente per il più a lungo possibile, ma non le era bastato. Era rientrata in ufficio come una pianta da corridoio: ci passi accanto tutti i giorni senza vederla e la noti solo quando ormai è troppo tardi, con quelle foglie secche è da buttare.
Alcuni colleghi non l’avevano riconosciuta, era dimagrita molto e si era tagliata i capelli corti. I suoi occhi neri sembravano scoppiare fuori dalle orbite da un momento all’altro.

cuore

Human Heart C 1979 Red with Veins Painting by Andy Warhol; Human Heart C 1979 Red with Veins Art Print for sale

La stanza di Marco era rimasta chiusa dopo l’incidente.
Tutto quel sangue che le bagnava le mani, la gonna, le calze.
Era molto tardi e come spesso accadeva aveva fatto lo straordinario, per rimanere sola con lui.

All’inizio Elisa era molto preoccupata: non voleva che i colleghi la giudicassero, ma non ne ebbero l’occasione. In ufficio era l’ultima arrivata, il suo lavoro non le dispiaceva. E poi non l’aveva assunta lui.
La loro relazione si consumava in quella stanza dalle pareti cariche di quadri troppo colorati, senza una finestra per guardare fuori.
Per il suo compleanno Marco le regalò una borsa di pelle crema; uno di quegli oggetti che non si sarebbe mai potuta permettere con il suo stipendio. Lui le dimostrava che era importante, lei poteva manifestare tutto il suo amore fuori da quella stanza.
Teneva la borsa bene in vista sulla sua scrivania, ogni tanto se la portava al viso, per odorarne il profumo e sentirne la morbidezza. In fondo desiderava che li scoprissero.

Andò avanti per qualche mese: fuori però non c’era mai posto per loro.
Alla fine di giugno Marco iniziò a non aspettarla più per gli straordinari. La sua stanza era chiusa a chiave, qualcun altro rideva con lui, una voce acuta, pungente.
Elisa non osava chiedere spiegazioni, aveva paura di un suo rifiuto; lei non lo meritava. Era sempre stata insignificante, non aveva niente di particolare che potesse tenerlo legato a sé. Non un corpo tenero, non l’intelligenza e la cultura, neppure una perversione a renderla unica. Era come una musica di sottofondo.
Ci volle del tempo, il compleanno di Valentina, perché Elisa capisse che era davvero finita. La stessa identica borsa, lui non doveva farle questo.

Portò tutto il necessario, aspettò che se ne fossero andati tutti (Marco era fuori con lei per una conferenza); poi si chiuse nella stanza e si tagliò le vene.
Nessuno le disse niente, ormai era marchiata. La salutarono come fosse tornata dalle ferie (era di nuovo estate), parlando di scadenze e nuove normative.
Marco aveva cambiato ufficio, ora la sua stanza era molto più ampia e luminosa. Dalla finestra si vedeva la piazzetta del centro, gli ombrelloni bianchi dei bar e i vasi di gerani tutti intorno.
Valentina era diventata la sua assistente, quando le passò accanto piantò gli occhi sul pavimento. Elisa sentì i polsi bruciare.
Lavorò tutto il giorno e rimase lì, a guardare i colleghi che se ne tornavano alle loro case dal mutuo a tasso variabile e progetti per il futuro.
Lui non c’era, ne fu sollevata.
Valentina era nell’ufficio di Marco, di spalle, mentre riordinava la sua scrivania colma di documenti, di fronte alla grande finestra aperta.
Elisa entrò senza far rumore, si avvicinò piano, e la spinse giù con tutta la forza che aveva.

Quando la trovarono era ancora lì, a guardare fuori.

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