Questo appuntamento è dedicato al cantautore toscano Stefano Bertini, classe 1988, un quasi trentenne dalla sensibilità artistica molto matura.
“Sono una persona timida e gentile, so ascoltare le persone, leggo molto, a volte dipingo. Spesso soffro di solitudine – se hai per caso letto Il libro dell’Inquietudine di Fernando Pessoa beh, quello che c’è scritto lì io lo provo giornalmente.”
Parliamo del suo primo album: Autopsicografia, di libri e di fantasmi.
Quanto le tue letture hanno influenzato il tuo modo di scrivere?
Le letture hanno influenzato non solo il mio modo di scrivere ma anche il mio modo di vivere. La vita è fatta di percezioni e sensazioni soggettive che ti sottomettono alla quotidianità. Come se tutto si sommasse frammentandosi continuamente. I libri, fin da quando avevo circa dodici anni, sono stati fondamentali: erano un modo per sentirsi meno soli e per scoprire dei veri e propri mondi. E le parole, i loro pieni enigmi, aprono degli squarci e fratturano tutte le tue convinzioni nel mentre sei rapito a viverle. L’arte in generale è qualcosa che ci strappa dalla verità, dalle idiosincrasie prepotenti che viviamo ogni giorno. Roberto Calasso ha scritto che «l’arte non si lascia disturbare dai suoi significati» ed è vero. È infatti difficile non lasciarsi trasportare da certe pagine di Melville, dalle rime di Dante o da certi racconti di Edgar Allan Poe, per citare solo alcuni nomi. I mondi che leggevo fin da adolescente erano mondi che mi costruivano. E posso dire, con umiltà, che grazie a queste innumeri letture sono riuscito a comprendere molto meglio l’animo umano.
Pensi che la musica sia il mezzo più efficace per esprimere le tue parole?
Le canzoni hanno un’enorme efficacia. La musica ha un effetto quasi stroboscopico: una canzone ha un senso se l’ascolti a vent’anni ma può acquisire un senso diverso se l’ascolti a quaranta. Ci sono canzoni che, a volte, ti fanno provare una nostalgia del futuro, altre che sono come piccole sinopie nascoste. A tutto questo si aggiunge il fatto che ci sono molte canzoni in cui il senso lo devi costruire da te e questo aiuta a pensare.
La canzone che apre l’album si chiama The Lonely Woman Card e parla della vita di una mia amica: la conobbi nell’estate del 2014. Ne ammirai subito il coraggio e la forza. Quando poi nacque il progetto del disco mi tornarono in mente dei versi (scritti sopra un ingiallito e anoressico foglio moltissimi anni fa) che, tradotti dall’inglese in italiano dicono: «Una donna vestita di lacrime disse: / “Ho seduto sulle panchine dell’abisso / guardando un cielo cremisi”». Da queste parole riemerse venne poi l’intera canzone. L.G., l’amica cui è dedicato il brano, ha detto che le è piaciuto molto e che ci si riconosce in ogni singola frase. Dal momento che dietro ogni vita c’è un universo ed è comunque difficile riuscire a restituirlo nei pochi minuti di una canzone, posso dire che questo è davvero un bel complimento.
I tuoi pilastri musicali.
Leonard Cohen e Bob Dylan. Due artisti che hanno rappresentato un modo nuovo di scrivere. Cohen, con la sua voce di rasoio, le sue mille sigarette, le molte amanti, le sue poesie, i versi e le canzoni. Se dovessi dire qual è quella, fra le canzoni, che più mi rappresenta direi Avalanche da Songs of Love and Hate del 1971. Quando Cohen morì scrissi questo piccolo pensiero: «Addio Leonard, ti scrivo l’addio per derubarmi anch’io di quella crepa da cui entra la luce e che nel buio è sempre così difficile da vedere. Solo i poeti possono tradire la luce e morirci dentro».
Anche le canzoni di Dylan sono state fondamentali. Ho amato Blood on the Tracks del 1975 in maniera prepotente, intensa e radicale. È stato l’album con cui l’ho incontrato. Poi scoprii gli altri suoi dischi e mi accorsi di quanta creatività ed inventiva fossero presenti in un solo artista tanto da sembrare quasi inumano. Il premio Nobel che gli è stato assegnato mi ha reso felice, e sono d’accordo con Don DeLillo e Stephen King i quali, fra i molti altri, hanno scritto che se lo meritava.
Ma devo moltissimo anche ai cantautori italiani. Prima di Dylan e Cohen, furono i miei genitori a farmi conoscere Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Francesco Guccini e Franco Battiato. Sono cresciuto con la loro musica e posso dire che mi sono anche umanamente formato sulle loro canzoni. Quando frequentavo il Liceo Classico, ogni giorno ascoltavo le loro parole e ne rimanevo affascinato, rapito, attratto.
Per me, dunque, questi sei artisti, parafrasando un celebre titolo di un famosissimo libro, sono un’eterna ghirlanda brillante.
Autopsicografia è il tuo primo disco, puoi raccontarci la sua storia?
Autopsicografia nasce nel febbraio del 2015. Il titolo dell’album è ripreso da una poesia omonima di Fernando Pessoa. Ricordo che stavo preparando un esame e mi venne in mente di scrivere a mio cugino Ariele D’Angelo chiedendogli se non fosse il caso che io e lui facessimo qualcosa in campo musicale. Ariele è davvero un ottimo musicista, suona la chitarra e il pianoforte e ha studiato tanti anni musica. Lui mi disse che proprio in quei giorni stava pensando la stessa cosa. Così gli portai le canzoni e da lì nacque tutto. Alcuni brani furono scritti molti anni fa e nel lavoro di limatura ho cercato di scrostare gli eccessivi giovanilismi. Altri invece li ho scritti nel 2015 e nel 2016. Con Ariele abbiamo quindi messo su una piccola band composta da Niccolò Rinaldi alla batteria, Jacopo Lomi alla chitarra elettrica e mio fratello Andrea che ha suonato sia la chitarra che il basso. Ha dato anche un contributo significativo il padre di Niccolò, Massimo Rinaldi, che ha suonato il cajòn in Incubo. Abbiamo arrangiato insieme i brani e nel giugno del 2016 siamo andati a registrarli presso lo Studio Volta Recordings di Simone Fedi. Quello che mi ha aiutato è stata la sinergia che, fin da subito, si è creata fra di noi: l’intelligenza e la preparazione musicale di questi amici ha predisposto e facilitato l’opera alla sua perfetta realizzazione finale. Le canzoni sono tutte venute come le avevo in testa e questo lo devo a loro e a Simone Fedi che ha fatto un lavoro eccezionale.
Dove potremo ascoltarti? Per un musicista, o un artista in generale, il contatto e confronto con il pubblico è molto importante. Cosa ne pensi?
Sulla mia pagina Facebook ono già usciti due brani: The Lonely Woman Card e Incubo. Penso di fare almeno altri due video. Colgo l’occasione per ringraziare Linda Cappuccini che nel video di The Lonely Woman Card ha regalato la sua bellezza alla canzone, acconsentendo di fare l’attrice.
Per il resto cercherò di fare più presentazioni possibili anche se il rapporto con il pubblico – senz’altro importante e fondamentale, mi spaventa non poco. In ogni caso tutte le occasioni che avrò cercherò di sfruttarle al meglio.
La frase o citazione che più ti rappresenta.
Non ce ne può mai essere una sola. Comunque, dovendo sceglierne due anziché una, ad oggi, ti direi questa potentissima frase di Bernardo Soares, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa: «Vivere è essere un altro». Pessoa è uno dei più grandi poeti dell’universo.
E poi questi versi di Edgar Allan Poe: «Ho lasciato il mio cuore stesso / in regioni create dalla mia fantasia, / lontano dalla mia patria, / con esseri nati dal mio stesso pensiero – / che cosa di più avrei potuto vedere?».