Manichini

Eccoci qua con la terza puntata della nuova rubrica Donne Difettose.

Stavolta tocca a me, ovvero la Elena Ciurli.

Perché una donna dovrebbe scrivere una cosa del genere?

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Quando ero bambina facevo spesso un sogno: mi trovavo a vagare per le strade deserte di una città sconosciuta e poi entravo in un centro commerciale. Eravamo solo io e i manichini delle vetrine: bianchi e perfetti.

Mi avvicinavo ad uno di loro, quello con i lunghi capelli biondi e l’abito lungo, verde smeraldo, strettissimo. E lui prendeva vita: il suo volto si trasformava in un ghigno, i denti di plastica si facevano aguzzi, sentivo la plastica stridere in quel maligno sfregamento. Mi derideva, mi prendevano in giro tutti. Ero goffa e grassa e me ne vergognavo tanto, soprattutto per mia madre. Lei era magra, elegante, ma io ho preso i geni di mia nonna paterna, e di esile avevo solo l’autostima.

Ora è tutto diverso. Quando penso ai digiuni e le notti insonni mi sento più forte. Se hai il totale controllo del tuo corpo niente può più toccarti.

Oggi farò il casting per uno spot di lingerie, potrebbe essere la mia occasione. Sono fuori dal giro da circa un mese, spero tanto che vada bene. Ho bisogno che vada bene.

«Ciao Mia, buona fortuna. Sei la più bella di tutte. Ti voglio bene. Mamma»

Che palle! Da quando mi hanno dimessa dall’ospedale, non fa che ossessionarmi con telefonate e sms. Non sono morta, cazzo! Solo perché ho un po’ esagerato con le anfetamine non significa che voglia uccidermi.

Caffè e sigaretta e sono pronta ad uscire. L’agenzia è dall’altra parte della città e impiego quasi un’ora per raggiungerla, colpa del traffico. Odio guidare, ma sono troppo nervosa per chiedere a mia madre di accompagnarmi, rischierei di prenderla a schiaffi. Non sono più la sua scimmietta ammaestrata, ma lei non l’ha ancora capito. Un giorno me ne andrò lontano da qui, sparirò senza dire niente a nessuno. Comprerò una casa sul mare e sarò piena di luce. Non avrò più fame, non mi sentirò più sciogliere lo stomaco di fronte a un tiramisù.

La receptionist dell’ufficio mi da il benvenuto con la sua vocina stridula e mi trafigge gli occhi col suo completo verde vomito. Nella sala d’attesa ci saranno almeno una ventina di ragazze: sono molto più magre di me, le odio. Io sono migliore di loro, deve essere così, e butto giù una pillola, giusto per essere lucida e non sentire più i morsi della fame.

Tocca a me. Mi spoglio e mostro il mio completo di pizzo nero, con reggiseno a balconcino e perizoma. Sono davanti alla telecamera e mi mostro da ogni lato, quello lo so fare bene. Ora non resta che aspettare.

Stanno parlando di me: pochi minuti e sarò la protagonista del loro spot, ne sono certa.

«Grazie Signorina, va bene così, può andare»

«Come, perché? Volete che sfili di nuovo? Posso anche togliermi il reggiseno!»

«Può andare, grazie»

Crepate! Sono troppo grassa per voi, vero? Vaffanculo!

Esco di corsa e vado in farmacia: devo calmarmi e compro del Valium. Prima di uscire, però, voglio pesarmi. Ho paura. Non lo faccio da quando sono uscita dall’ospedale. 53 chili. Ho preso ben 2 chili. Non può essere, non è possibile, ieri ho digiunato e stamattina ho bevuto solo un caffè. Sarà colpa del cortisone e delle flebo che mi hanno sparato in vena. Devo camminare almeno 7 km oggi o ingrasserò ancora di più.

Voglio comprarmi qualcosa, mi farà bene. Vado da Blu, ho visto due abiti in vetrina che mi piacciono tanto. Nel negozio c’è poca gente, meglio. Non ho proprio voglia di incontrare nessuno che conosco, soprattutto qualche tossica dell’agenzia con la quale lavoro di solito.

«Vorrei provare il vestito rosso e quello nero» dico alla commessa occupata a scrivere al cellulare.

«Taglia?» mi chiede masticando il chewing gum con la bocca aperta. Vorrei prendere quella gomma e buttargliela tra i capelli fino a farne una palla inestricabile, a me lo hanno fatto alle medie ed ho dovuto tagliarmi i capelli corti. Ero un mostro: quell’immagine girerà nella mia testa come un disco rotto, fino all’infinito.

Certe volte non so se sono più affamata o incazzata, vorrei mangiare tutto ciò che si muove, riempirmi fino a esplodere, per questo mi arrabbio ancora di più. Perdere il controllo mi fa venire voglia di grattugiarmi contro il muro; è la cosa che odio di più, insieme ai tessuti sintetici.

«40» rispondo

«Vestono poco, forse meglio una 42?»

«42? Ma mi hai guardata per caso?»

La ragazza non ribatte, ma la vedo che mi giudica con quegli occhietti da ratto con sindrome premestruale.

Ho tra le mani i miei due nuovi abiti: seta purissima. Il primo è il vestito rosso, il mio preferito, lungo e con la scollatura sulla schiena che arriva fino alle natiche. La zip laterale si chiude male, trattengo il respiro. Ci siamo: basta non fare movimenti bruschi. Questo specchio e la luce del camerino fanno schifo, meglio guardarsi in quello grande vicino alla vetrina. Prendo poca aria per volta e la zip non si muove. Sono una 40 perfetta.

La zip mi graffia la pelle e cominciano a fischiarmi forte le orecchie, la mia testa è una centrifuga. Forse ho esagerato con le medicine. Prima o poi devo smettere.

Chiudo gli occhi perché anche la luce mi disturba. Quando li riapro per poco non cado per terra: sono la bambina cicciona che ho eliminato tanti chili fa. Risate, parole sconnesse, i manichini sono tornati.

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Mia la più grassa che ci sia! Mia la più grassa che ci sia!

La loro voce metallica mi morde i timpani e rabbrividisco. Sento ancora quei denti sfregarsi contro il mio buio, e penetrarlo.

Vorrei solo sparire ora.

Prendo la borsa e la scaravento sullo specchio, che si frantuma in mille piccoli coltelli. Afferro la lama più appuntita e li faccio a pezzi, tutti. Ora sono solo un ammasso di plastica.

Non ridono più, con le loro bocche cristallizzate in una maschera di eterno terrore. Mi scoppia la testa, il fischio torna a distruggermi le orecchie.

Corro in camerino e mi guardo di nuovo: mani, capelli, viso, gambe, sono completamente ricoperta di rubini. La mia pelle non si distingue dall’abito che ho addosso. Ho in bocca il sapore del ferro.

Sono magra e bellissima. Nessuno riderà più di me. Ora però voglio svegliarmi, è solo un brutto incubo. Non devo più aver paura, butto giù il resto della boccetta di Valium e aspetto. Andrà tutto bene.

 

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