Questo mese per Scrittura a tu per tu, ho scelto un argomento molto importante per tutti gli aspiranti scrittori: quello del discorso diretto. Chi di noi non si è mai trovato alle prese con le battute di un personaggio e dover scegliere se utilizzare il dialogo o il discorso indiretto per far scorrere la narrazione?
La mia domanda quindi è: come si scrive un buon dialogo? Forse sarebbe più facile spiegare cosa fare per non scriverne uno pessimo, ma cerchiamo di essere fiduciosi.
A far luce sui nostri dubbi è Francesco Mencacci, responsabile didattico della Scuola Carver di Livorno, oltre che docente del Corso Base di Lettura e Scrittura Creativa con pluriennale esperienza alle spalle. Allievo della Scuola Holden di Torino, fin dai primissimi anni Novanta affina la sua passione per la scrittura partecipando a numerosi stage formativi in giro per l’Italia con docenti eccellenti come Alessandro Baricco, Domenico Starnone, Massimo Carlotto.
La parola a Francesco.
Come scrivere un buon dialogo
Scrivere un buon dialogo penso sia una delle cose più difficili per un aspirante scrittore, anche perché “buono” in questo caso significa tante cose: persuasivo, efficace, non didascalico, che serva a far progredire una trama, o a svelare sfumature psicologiche importanti del nostro personaggio.
Tante cose, troppe cose insieme, ed i pantani della banalità sono lì in agguato, proprio davanti alla nostra penna.
E’ difficile dare delle regole in poche righe, e lo è soprattutto perché le regole, in letteratura, sono fatte per essere “rotte”, cambiate, stravolte sapientemente (e consapevolmente) per generare altro, per ricercare quella voce originale che fa la differenza, che è poi l’obiettivo primario a cui deve tendere ogni scrittore.
Mi limito quindi a dire alcune cose, che penso sia importante tenere a mente.
Quando si parla di “buon dialogo” occorre innanzitutto distinguere tra forma e contenuto.
La forma del dialogo
Sulla forma: vanno bene le virgolette, ma vanno bene anche i dialoghi in sequenza senza virgolette:
“Ciao
Dimmi
Perché non hai chiamato?
Per lo stesso motivo per cui non hai chiamato tu”.
O addirittura i dialoghi senza soluzione di continuità tra discorso diretto e indiretto, all’interno della stessa frase, introdotti dalla semplice maiuscola, e che oggi vanno molto di moda, una cosa del tipo:
“Lei è uscita di casa molto presto e appena lo ha visto ha detto Mario, mica devi per forza aspettare, se non mi vedi. Lui si è strusciato un occhio assonnato e ha risposto Non ne posso fare a meno, di aspettarti”.
Siate dunque liberi di inventarne una, poiché la forma dei dialoghi, come la punteggiatura, è spesso un insieme di convenzioni e convenienze a cui lo scrittore attinge per restituire al lettore una certa sensazione.
Ma ricordate che per rompere le regole formali occorre prima conoscerle a menadito: quindi, prima esercitatevi a stare nelle regole ( due punti, aperte virgolette) e solo quando vi sentirete sicuri di queste OSATE.
Altra cosa: mantenete una coerenza stilistica formale. Se scegliete una forma classica portatela in fondo, se scegliete di osare con dialoghi meno tradizionali fatelo fino alla fine. Niente di peggio del confondere il lettore con una forma sciatta, fumosa, indecisa e non coerente per tutto l’arco della vostra narrazione.
A me in particolare, piacciono i dialoghi di Cormac McCarthy, quello di Trilogia della Frontiera e Non è un paese per vecchi, per intendersi: dialoghi scarni, minimi, in sequenza, con poche parole precise come proiettili, e che hanno la funzione di restituire al lettore, per fare un esempio, l’aridità interiore dei personaggi, il fatto di essere concisi e definitivi, “scolpiti nella pietra”, non abituati ai fronzoli, alle parole di troppo. E d’altra parte nella maggior parte dei casi si tratta di romanzi di ambientazione western, e ricordiamo tutti benissimo come (non)parlava Clint Eastwood.
Il contenuto del dialogo
Sui contenuti l’affare si complica: ogni battuta di un dialogo deve far procedere l’azione o apportare informazioni importanti, o modificare le relazioni tra i personaggi, altrimenti meglio evitare di aggiungere cose non utili alla narrazione primaria.
Mai scrivere ciò che il lettore può intuire da solo. Ricordiamoci sempre che il lettore “ama unire i puntini”, e concludere cose che voi dovete limitarvi ad accennare.
Ancora: molte battute banali possono essere omesse e molte battute non banali possono essere sostituite da gesti (Esempio: “Mi ami?” disse lui. Lei lo colpì con un mestolo. Oppure, “Mi ami” disse lui. Lei continuò a mescolare il risotto senza guardarlo).
Ricordiamoci sempre che una delle regole base della scrittura è da sempre mostrare senza dire. Attenzione però: se quello che ci interessa mostrare non è il contenuto (COSA) di un dialogo ma il COME lo si dice, allora quanto detto sopra non conta. Voglio dire, un personaggio noioso parlerà in modo ridondante, noioso, soporifero.
Se c’è poi una cosa su cui tutti noi siamo naufragati, prima o poi, scrivendo un dialogo, è l’uso dei verbi descrittivi. La tendenza contemporanea ama molto l’utilizzo di verbi minimali come il semplice “disse”, ma tanti scrittori arrivano all’omissione, poiché se uno è bravo ad introdurre il dialogo non c’è bisogno di specificare chi parla e quale intonazione dare. L’intonazione in generale va evitata: verbi tipo sentenziò, ribatté, chiosò, precisò… fanno accapponare la pelle, e c’è da dire che se uno è bravo a scrivere un dialogo il lettore deve poterne intuire il tono da solo.
Insomma, la materia è vasta e controversa e forse l’unica cosa da fare è leggere tanti buoni dialoghi, assorbirne le peculiarità e le tendenze, e poi sperimentare con esercizi specifici.
Scriviamo insieme un dialogo?
Ne dico uno: prendete una fotografia e provate ad immaginare un dialogo tra i suoi personaggi, si chiama dialodramma e oltre a divertirvi vi farà acquisire maggior dimestichezza con questa parte estremamente importante e decisiva delle vostre idee di narrazione.
Cominciate con questi due tizi…cosa potrebbero dirsi?
Bio
Francesco Mencacci è nato a Milano nel 1972, si laurea in Economia e Commercio nel 1997, e dal 2014 è responsabile didattico della Scuola Carver di Livorno, oltre che docente del Corso Base di Lettura e Scrittura Creativa con pluriennale esperienza alle spalle.
Allievo della Scuola Holden di Torino, fin dai primissimi anni 90 affina la sua passione per la scrittura partecipando a numerosi stage formativi in giro per l’Italia con docenti eccellenti come Alessandro Baricco, Domenico Starnone, Massimo Carlotto.
Scrive recensioni cinefile, è autore teatrale e fondatore dell’associazione culturale Il Teatro della Cipolla.
L’associazione oltre a produrre spettacoli teatrali originali, è da sempre attiva nella realizzazione di eventi culturali di vario genere, tra cui il FI-PI-LI Horror Festival, un festival letterario, cinematografico e teatrale di rilievo nazionale capace di attirare ospiti importanti quali Pupi Avati, Ruggero Deodato, Lamberto Bava, Filippo Mazzarella, Massimo Carlotto, Manetti Bros, Marco Malvaldi, Valerio Nardoni, Roberto Riccardi, Cecilia Scerbanenco, Giampaolo Simi.
Per info sulle attività della Scuola Carver: scuolacarver@gmail.com oppure telefonare a 3382678770
Sede della Scuola: via Roma 69 – Livorno, nei locali della Libreria Belforte 1805.
Chiedi di essere ammesso al gruppo chiuso su fb: quelli della scrittura creativa@Scuola Carver
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