Eccoci al nostro consueto appuntamento del giovedì, con gli autori di Progetto Nero su Bianco. Questa settimana è la volta della scrittrice E.C, che ci accompagna sulle note di Blue Valentine.
N.B= accendete le casse del computer o alzate il volume del vostro smartphone, poi fate partire la musica e sedetevi sul divano.
PARTENZE
Nelle orecchie aveva ancora le note strascicate di Blue Valentine, il suono gracchiante degli acuti del basso e dei vocalismi di Tom. Odiava quella canzone per tutto quello che le faceva affiorare al cuore ma era inevitabile ascoltarla e lasciarsi inebriare da quella sonorità intima, da quegli accordi sofferti.
Appena arrivata alla stazione aveva parcheggiato la piccola utilitaria ma non era riuscita a frenare il dolore che traboccava da quel cd inserito nel lettore… un dolore liquido e caldo che trasudava dalla voce roca del cantante, un dolore incatenato al cuore che forzosamente trascinava i lacci dei suoi legamenti.
La voce del cantante, come stilettate di ghiaccio lungo la schiena, continuava ad avvolgere i pensieri di lei mentre si incamminava al buio verso la sala d’attesa della stazione.
Vi era nell’aria un’umidità percepibile. Non era freddo, ma invadeva il corpo un gelido abbraccio di gocce che, immancabilmente, faceva restringere in se stessi tanto da rimpicciolire dentro i cappotti e le sciarpe adagiate addosso.
Aprì la porta della sala d’attesa della piccola stazione ferroviaria, ultima roccaforte di umanità della provincia, visto che tutte le altre stazioni locali erano state soppiantate da macchinette dispensatrici automatiche di titoli di viaggio, e già entrando buttò uno sguardo sui fruitori di quel servizio.
Le venne automatico indagare su chi, come lei, a quell’ora inopportuna, iniziasse la lunga giornata.
Si accomodò su una delle scomode sedie della sala di attesa aspettando l’approssimarsi dell’orario per poter raggiungere il binario di partenza e si apprestò ad esaminare l’umanità che aveva di fronte.
Le piaceva osservare il mondo intorno a lei, l’avvicendarsi di vite in corsa in attesa spasmodica di arrivi e partenze perché riteneva che, così facendo, potesse fotografare anche la sua vita, riflessa nello specchio capovolto di quella altrui. Soprattutto adesso, dopo quello strappo forzato alla sua esistenza determinato dall’altrui volere.
Girò la testa in direzione del giovane alla sua destra: era seduto accanto a una donna di mezza età con tratti somatici marcati e la pelle olivastra, che portava i capelli arricciati e laccati in maniera eccessiva e parlava al giovane con fare pratico e spigliato.
Il giovane, invece, era invischiato nei suoi pensieri che, come ombre di uccelli migratori, volteggiavano di fronte ai suoi occhi; pareva non ascoltasse minimamente la donna se non a tratti facendo segni di assenso forzato con il capo… ma lo sguardo rimaneva ancora incentrato su mondi invisibili.
Aveva la testa incassata nelle spalle, le mani lunghe e pallide unite insieme dalla sommità dei polpastrelli fino a tutta la lunghezza delle dita quando si aprivano a formare una losanga per poi ricongiungersi per la lunghezza dei pollici, gli occhi chiari persi nello spazio di fronte a sé protesi su una realtà solo a lui nota, le labbra contratte in un moto di terrore quasi a voler frenare un urlo. Notò un tremolio nelle mani, un tremore innaturale e forzato che pervadeva quel giovane uomo… pensò che dovesse trattarsi di un uomo difficile, un uomo di quelli che può portare una donna, qualsiasi donna, a dedicarsi a lui per il resto della propria vita.
Girò lo sguardo sulla coppia di adolescenti dal lato opposto.
Erano accasciati sulle sedie, con le gambe incastrate le une alle altre, per sorreggersi, per toccarsi, per sostenersi, per amarsi.
Stavano sonnecchiando così, di fronte a tutti. Pendolari dell’istruzione costretti a svegliarsi sei giorni su sette all’orario in cui, tra qualche tempo, si sarebbero dovuti svegliare per poter mantenere la propria famiglia, per poter preparare la colazione per tutti, la merenda per la scuola dei piccoli, indossare il paltò e uscire nella pioggia in direzione dei binari che portano al lavoro.
Sentì un frusciare di fogli di carta e, istintivamente, volse lo sguardo in direzione della provenienza del rumore.
Un uomo di mezza età, dalla faccia levigata e tonda e dal sorriso da monello stava recuperando dal raccoglitore della carta una rivista spiegazzata e un biglietto ferroviario utilizzato. Prese il biglietto tra le mani, lo guardò attentamente, lo rigirò tra le dita pingui, lo lisciò per stenderlo e lo ripose nelle tasche della giacca color nocciola.
Alzò lo sguardo e sul suo volto si disegnò un sorriso da bambino a cui la mamma aveva appena fatto trovare in dono una ciambella al cioccolato e cannella.
Nel mentre, una voce metallica informò gli utenti della stazione dei nuovi arrivi e delle prossime partenze sui binari.
Era ora di incamminarsi verso la propria giornata ma, a differenza degli ultimi giorni da quando le era stata spezzata la vita da quel “ Basta, non ce la faccio più… l’amore è scemato, scusami”, oggi avrebbe portato con sé a illuminarle il grigiore del cuore solitario quel sorriso da ladro di cioccolata dell’uomo monello.