Nota Bene: VIVERE

Per il secondo appuntamento della rubrica, abbiamo il piacere di presentarvi Andrea Fanetti, autore del racconto “Vivere”.

N.B= Si consiglia di far partire la canzone e cominciare a leggere, senza preoccuparsi di altro.

VIVERE

Sono frutto dell’amore e della passione: ho forme perfette, con una silhouette da fare invidia. Nonostante gli anni, sono ancora bella.

Mi ricordo serate piene di allegria, quando il messicano mi prendeva e ci mettevamo a girare per il locale con la gente che ballava e si divertiva lui mi diceva sempre che senza di me avrebbe fatto poco.  Stavamo bene insieme, un affiatamento perfetto, un amore vero fino a che durò.

Il messicano poi mi ha mollata per una più giovane e, diceva lui, più calda.

Io penso sia il tempo che passa: voleva cambiare o, più semplicemente, la novità attira; non è nostalgia, piuttosto una serie di  ricordi positivi, e quando ci sono dei bei ricordi non bisogna farsi prendere dalla tristezza, bisogna essere felici di avere avuto la possibilità di viverli. Dopo il messicano ripresi a viaggiare per locali e provai, talvolta, l’intimità di una casa.

In particolare con un giovane, che in apparenza sembrava uno spaccone, bello come un attore, ma fragile dentro, fragile fino alla disperazione. Quando rimaneva con me mi abbracciava in silenzio, poi andava alla scrivania o al tavolo di cucina e si metteva a scrivere e scriveva per ore, strappava fogli, guardava il soffitto, poi si ributtava a testa bassa sul testo.

Io lo guardavo standomene in un angolo del vecchio divano ed era gratificante osservare i suoi cambi di umore, le sue imprecazioni, i barlumi di luce, i sorrisi, la lettura di frasi ad alta voce; passava dall’imprecazione alla risata, ma non era matto, era così.

Udivo per prima tutto quello che scriveva, prima degli altri, prima che queste vere e proprie poesie volassero fuori da quella stanza e diventassero di tutti. Quando finiva si concedeva un brindisi con una birra nemmeno tanto buona. Poi, se ne aveva voglia, mi prendeva. Rimanemmo ancora un po’ insieme, poi non bastai più nemmeno a lui.

Va così la vita: finché servi a qualcuno sei venerata, amata, ben tenuta e protetta, poi, quando i percorsi cambiano, cambiano anche i compagni di viaggio, allora c’è la selezione tra l’amore vero e il piacere momentaneo di stare insieme.

“Al diavolo i messicani, i poeti maledetti, al diavolo tutti!”

Così mi capitò di riflettere, tra altri come me che entravano e uscivano da quella vecchia bottega magari avendo avuto la mia stessa esistenza, usati e poi lasciati. Non umiliati, non offesi: semplicemente lasciati.

Fuori esplodeva una nuova primavera e io avevo ancora voglia di sentirmi viva, stare in allegria, frequentare gente, locali, spiagge, perché a un certo punto non si accetta più di stare da parte e di venire esclusi solo per una legge assurda per la quale, dal momento che non sei più giovane, sei sostituibile: nessuno è sostituibile! Ti rimpiazzano, ma come te non c’è nessuno. Siamo unici, irripetibili, con la nostra voce, con il nostro temperamento, il nostro corpo. C’era tempo per morire e io avevo il diritto di vivere, volevo vivere, pretendevo di vivere!

Entrò ma non lo avevo sentito.

Parlò un po’ col titolare, poi venne nella mia direzione, ma eravamo in tanti lì. Io stavo in fondo alla stanza, quasi nella penombra, su una vecchia poltrona un po’ barocca, rivestita di pelle rossa, sembravo una regina sul trono: non so se fu per quello o se lo colpì il mio aspetto, però voleva chiaramente me.

Mi commossi vedendo che si inginocchiava guardandomi per almeno tre buoni minuti; cominciò a toccarmi, sempre di più… con entrambe le mani, sui fianchi, lentamente, poi aumentò la presa; lo confesso, tutto questo mi dava un grande piacere, sentivo in quella delicata forza, una voglia, un desiderio che non dovremmo mai reprimere. Si riaccendeva la speranza di tornare a una vita vera.

Lui mi guardò estasiato, con un amore che non ricordavo più, e sarebbe bastato quello a farmi star bene. Nei suoi occhi vidi un velo di lacrime, poi li chiuse e mi abbracciò prendendomi con sé. Ero SUA.

Portò le labbra in alto fino a dare un bacio sulla mia nera fronte, dove c’era scritto un nome: Gibson.

 Grazie Andrea, la tua canzone suona davvero bene!

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