Nella stanza la luce penetrava fievolmente. Ogni cosa era al suo posto. Sullo scrittoio c’era un vaso di porcellana bianca, da cui si innalzavano sinuose due fresche orchidee. Sir William si era appena rasato e contemplava con aria assorta il suo armadio aperto, come se la scelta del vestito da indossare potesse dargli lo stimolo a compiere chissà quale importante azione. Convenne che il completo grigio perla fosse il più adatto. Si avvicinò allo scrittoio, prese della carta, impugnò il pennino e rimase per del tempo indefinito a guardare quello spazio bianco. Poi, la sua mano, decise per lui e cominciò a scrivere in maniera violenta, compulsiva:
“Cara Angela,
forse troverete inopportuna questa mia lettera. Se ciò vi offenderà, vi prego di gettarla via e dimenticarmi. Dalla prima volta che vi ho vista all’incontro del circolo letterario in Tite Street, voi avete acceso in me qualcosa che non avrei mai osato sperare. Sembrate una creatura epica, così forte, ironica, bellissima. Mi sento perso di fronte a tutta la vostra grazia. Mi avete imprigionato il cuore. Non riesco più a togliermi dalla mente la vostra immagine infinita e perfetta. Credo di non aver mai amato nessuna in maniera così incondizionata. Vi scrivo perché ho bisogno che lo sappiate. Vorrei tanto incontravi. Vediamoci questo sabato pomeriggio al caffè Guerbois alle 17.30. Sarò vestito di blu e avrò una piccola gardenia rosa all’occhiello della giacca.
Se non verrete, vi prometto che cercherò di dimenticarvi.
Vostro William.”
William consegnò la lettera che aveva finemente profumato con essenza di fiordaliso e la consegnò alla domestica, dicendole di portarla a casa della signorina Angela Smith, 35 Grosvenor Street.
Alla porta venne ad aprirle il maggiordomo, gli consegnò la lettera, dicendo ermeticamente: “Per Miss Angela”. L’uomo entrò nella camera della signorina Angela e le dette la lettera.
“Chi mi scrive, John?” domandò incuriosita
“Non l’hanno detto signorina”
John se ne andò e chiuse la porta.
La signorina Angela iniziò a leggere e le guance diventarono rubino. Gli occhi le si illuminarono. Adorava quel modo di sentirsi ancora amata come un bel fiore. Si sedette e scrisse una breve lettera, aveva capito chi era quell’uomo. Non riusciva a capacitarsi di come si fosse potuto innamorare di lei, la cosa era davvero incredibile.
Era quasi sera e la lettera fu consegnata a sir William mentre stava per consumare un leggero spuntino, accompagnato da un buon bicchiere di brandy. Strappò la busta e stese velocemente il prezioso foglio di carta lilla:
“Mio adorato William, vi incontrerò con molto piacere, accetto il vostro invito.
Angela”
Quel sabato pomeriggio il sole brillava meno timido del solito nel cielo di Londra e sir William ne approfittò per raggiungere il caffè a piedi.
Guardava il suo giovane riflesso nelle vetrine, si piaceva, era indubbio, anche se non si poteva definire esattamente un rubacuori. Pensava e ripensava al momento in cui avrebbe incontrato Angela, le avrebbe sfiorato i capelli e forse rubato un bacio. Giunto innanzi alla pesante porta del locale, esitò qualche attimo.
I tavoli erano quasi tutti vuoti. In fondo, a destra, illuminata da una bizzarra lampada a olio verde marcio, c’era una figura di donna, di spalle. Doveva sicuramente essere Angela.
Sì diresse a quel tavolo e le toccò dolcemente la spalla: “Angela- sussurrò sir William. Lei si voltò:
“Caro, finalmente siete arrivato”.
William rimase a bocca aperta, il volto rugoso della donna lo guardava languidamente.
“Oh buon Dio! – pensò – “ Ho sedotto la nonna invece della nipote!”
A volte il destino gioca strani scherzi anche al giovane più brillante: Angela Smith era lo stesso nome di una vivace signorina di 70 anni e della sua giovane nipote appena diciassettenne.
William si sedette accanto alla donna, aspettando rassegnato la fine di quella catastrofe.