La prima immagine di Oporto che colora la mia mente è il caos festaiolo della via centrale, Rua de Santa Catarina. Si respira un’aria retrò, sembra di esser tornati indietro nel tempo. Ci si abitua presto alla dolce e rassicurante atmosfera della città.
Si può sorseggiare una limonata ghiacciata all’affascinante Cafè Majestic, vera e propria perla dell’Art Nouveau, dove si possono trascorrere ore a chiacchierare osservando rapiti i camerieri in guanti bianchi che servono leccornie di tutti i tipi. Dal 1921, non ha mai smesso di brillare. Oporto l’ho conquistata a piedi e devo dire che non è stato affatto compito facile: è un dedalo di discese e salite ripide. La città è lenta e va assaporata senza fretta, come un buon vino. Dalla maestosa Torre Dos Clerigos si può godere di una vista eccezionale della città, fino a scorgere il fiume Douro, che separa Oporto dalla gemella Villa Nova de Gaia, scrigno prezioso delle cantine di vino Porto. L’aria è frizzante e l’occhio si perde all’orizzonte.
Non voglio soffermarmi, però, sulla descrizione di monumenti o musei, per quello ci sono le guide. Intendo invece parlare di ciò che Oporto è stato per me.
Cartoline dai colori pastello, come le case antiche della Ribeira, quartiere affascinante, pieno di angoli da tutti da gustare. Ci si può sedere ad uno dei numerosi locali tipici e sorseggiare un bicchiere di Vinho Verde in riva al fiume, osservando le barche che passano, per poi guardare attentamente le case in lontananza ed accorgersi della presenza di numerosi edifici abitati ormai solo da gabbiani.
Oporto è così, certe volte sembra di stare in una città fantasma e si ha voglia di scoprire chi abitava in quegli edifici antichi. I bellissimi azulejos sulle facciate delle case raccontano storie del passato, per chi ha voglia di ascoltare; anche i gatti del Douro sembrano saperla lunga, se ne stanno al fresco, sdraiati sulle automobili e non si alzano nemmeno se vedono un topo, ti guardano con gli occhi semi-aperti e cercano di dirti qualcosa, ma non ce la fanno, troppa fatica.
Quando sono salita sul Ponte Dom Luis I, ricordo di aver trattenuto il fiato per un attimo: la vista era incredibile. Le case colorate, il fiume, le cantine di Porto, tutto portava la mia mente a ricordi sommersi dagli anni. Il sole era poderoso e camminavamo con fatica, ma non riuscivamo a fermarci, la città ci chiamava da ogni parte. I portoghesi ti accolgono in maniera gentile, mai invadente, sono fieri delle proprie origini e i loro modi hanno qualcosa di rude, ma profondamente autentico.
La fatica, però, era sempre ben ripagata. Cene a base di bacalhau in ogni salsa, salmone, buon vino e dolci sublimi: il cibo a Oporto è squisito. Pesce freschissimo senza mai spendere un capitale. E poi: il vino Porto! Prima di andare in Portogallo devo dire che non lo apprezzavo particolarmente, ma mi sono ricreduta.
Abbiamo scelto la nostra cantina con cura, evitando quelle più commerciali e, finalmente, eccola: quella era fatta per noi. La visita è stata piacevole, così umida e profumata. Le botti custodiscono un nettare pezioso, che racchiude una passione radicata nella storia della città stessa. Ci siamo seduti al tavolo con un gruppo di ragazzi spagnoli, è stato bello degustare insieme il vino, cercando di comunicare in una lingua ibrida, tra lo spagnolo e l’inglese. Eravamo un po‘ provati da questa pausa alcolica, erano appena le 12 e fuori l’aria era quasi torrida. Ma dovevamo camminare e continuare la nostra avventura, perciò ci siamo stiracchiati al fresco della cantina e dopo aver salutato i nostri compagni stranieri, ci siamo avviati in riva al Douro, senza meta, ci avremmo pensato dopo.
Oporto è bello viverla così.
Riconosciuto il luogo dai primi 4 pixel. Non leggo, non guardo, rischio di piangere…. sono una superstite erasmus di Oporto…
Io ci tornerei anche domani…