Inchiostro, parole, punti esclamativi, interrogativi, sineddoche, metafora, metatesi, iperbole, carta bianca, lucida, antica, stropicciata, copertina rigida, liscia, morbida, polverosa.
Prime immagini sconnesse del Signor Meneghetti, sveglia alle 7 del mattino ed un unico obiettivo: rubare almeno venti libri entro la fine della settimana. Era arrivato a quota 4500. Un buon risultato, si diceva, ma non abbastanza per realizzare il suo sogno. Doveva programmare, definire, organizzare tutto nei minimi dettagli. Aveva fatto una mappa su cui erano segnate tutte le biblioteche di Milano e dintorni. Dalla più fornita alla più piccola. Gli serviva tanta carta, migliaia e migliaia di testi, un numero indefinito di mattoni. C’era da risolvere la noia della carta d’identità. Aveva usato la stessa già troppe volte. Era giunto il momento di diventare il Signor Bianchi. No, troppo banale. Ecco, da quel momento e per i successivi cinque furti almeno sarebbe stato il Signor Petrarchini, in onore del sommo poeta. Dopo aver messo sul fuoco la moka, si accinse, con abilità da vero professionista, a fabbricare il suo nuovo documento. Provava piacere nel compiere quell’operazione, che, in un certo senso, lo faceva sentire onnipotente.
Erano serviti ben venti anni di duro lavoro e sacrifici, ma poteva ritenersi abbastanza soddisfatto di sé stesso. L’odore del caffè l’aveva distolto dai suoi pensieri, così si diresse in cucina e lo versò nella tazzina. Lo bevve così com’era, amaro e bollente. Appoggiò poi la tazza sul tavolo, un oggetto assai ambiguo al primo sguardo. Il piano d’appoggio era tutto rivestito di pagine di libri, e le quattro gambe erano costruite con tomi di varie dimensioni sovrapposti con precisione architettonica. Anche le ante dei mobili della cucina erano tutte ricoperte da pagine stampate, alcune ingiallite dal tempo, altre di carta patinata. A volte aveva l’impressione di rimanere incollato a quel collage e di diventare finalmente di carta anche lui. Tornò in salotto e terminò il suo compito. La sua nuova identità era pronta e poteva così prepararsi ad uscire.
Nella stanza, oltre all’enorme libreria, scontatamente colma di volumi, c’era un pianoforte a coda, un grande divano – che forse doveva essere stato di pelle -, un tavolo rotondo con qualche sedia, molti oggetti non bene identificabili e un ingombrante lampadario, che il Signor Meneghetti aveva ereditato dagli anziani genitori. La cosa che accomunava nello stile e nei materiali tutto l’arredamento era la carta. Come in cucina, tutto era ricoperto di pagine, e anche le pareti erano rivestite, però da libri integri, messi l’uno accanto all’altro e attaccati al muro come mattoni. Oscar Wilde, Boccaccio, Pirandello, Dante, Kerouak, Jodorowsky, Bulgakov, Pasolini, Moravia: gli occhi si potevano perdere di fronte a quell’innumerevole lista di illustri nomi. Sembrava quasi di sentire un bisbiglio nella grande casa, come se ciascun personaggio raccontasse la propria storia infinite volte. Il Signor Meneghetti abitava lontano dal centro, in una villa piuttosto isolata e troppo grande per una persona sola, ma perfetta per il suo progetto. I suoi genitori gli avevano lasciato una ingente eredità, così si era sempre potuto permettere di non lavorare, dedicando l’intera esistenza al suo progetto.
La prossima tappa sarebbe stata la biblioteca di via Oberdan. Dopo un’attesa di circa 1 ora nel traffico milanese, riuscì finalmente a parcheggiare la sua automobile (una vecchia utilitaria, per non dare troppo nell’occhio). Anche gli abiti sembravano a buon mercato, così come il cappello, di velluto a coste. Con lo zaino semi-vuoto sulle spalle, giunse di fronte alla grande porta dell’edificio, mise la mano in tasca per controllare la sua nuova identità ed entrò. Piano 1, fila numero 2, Letteratura Sacra. Il Signor Meneghetti sapeva sempre cosa e dove cercare. Sentiva la necessità di testi antichi e rari. L’ultima volta aveva rubato alcuni libri dozzinali e si era sentito male la notte successiva. Provava ribrezzo per quelle inutili pagine che sembravano voler sputare l’inchiostro che le marchiava in maniera indelebile. Prese i libri uno alla volta, mettendoli nello zaino, senza farsi scorgere. La dose quotidiana era composta da almeno sei testi. Poi ne afferrò altri quattro dalle pagine ingiallite, quelle che preferiva, e si avviò verso la bibliotecaria, una giovane donna dall’espressione annoiata e lo sguardo acquoso. Le consegnò il documento, firmò e poté così uscire. Obiettivo quotidiano raggiunto.
Poi, come obbedendo ad una voce inesistente, entrò in macchina, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava sempre in trance dopo ogni furto, e guidò meccanicamente verso casa. Svuotò lo zaino sul tavolo del salotto, contemplò i libri e convenne che li avrebbe messi da parte. Per adesso non era ancora il momento di utilizzarli. Ancora con la giacca addosso scese in cantina, il magazzino del suo cantiere di carta: vi erano migliaia di libri impilati uno sull’altro, una sorta di piccolo labirinto con testi scolastici e vecchie antologie, con al centro una montagna di pagine e alcune copertine smembrate. Il Signor Meneghetti caricò una specie di carriola e la riempì di libri e pagine scelti con cura. Prese un piccolo secchio, lo colmò di colla e si accinse a salire le scale, non senza difficoltà. Nonostante vi fosse ormai abituato, aveva trovato un modo tutto particolare per fare meno fatica, una sorta di danza con movimenti lenti e costanti. Si diresse nella camera degli ospiti: era ancora nuda e pronta ad essere vestita. Il Signor Meneghetti, adesso colto da un impulso quasi demoniaco, cominciò a incollare ed attaccare pagine e libri alle pareti, ai mobili, al letto, persino allo specchio. Infine si addormentò per terra, stremato.
Inchiostro, parole, punti esclamativi, interrogativi, sineddoche, metafora, metatesi, iperbole, carta bianca, lucida, antica, stropicciata, copertina rigida, liscia, morbida, polverosa.
Prime immagini sconnesse del Signor Meneghetti, sveglia alle 5 del mattino di un giorno invernale, anno 2009. Sudore, bisogno di carta, stesse operazioni ripetute. Altra stanza, ancora libri, pagine e colla. Ulteriore furto mattutino alla biblioteca x di via y della cittadina z della provincia di Milano.
Giorno xy, estate, anno 2017. Il Signor Meneghetti si trovava adesso in giardino, ad ammirare la sua enorme casa. Ce l’aveva fatta, aveva le lacrime agli occhi. Adesso che era completamente vestita, millimetro per millimetro, poteva finalmente riposare. Rientrò e salì al piano superiore. Dopo aver riempito la vasca da bagno di colla, vi si sdraiò dentro, facendo attenzione a far bagnare di quella sostanza chimica e melmosa ogni centimetro della sua pelle. Poi andò in camera. Aveva disposto sul letto una grande quantità di piccoli pezzetti di carta. Prelevò dal cassetto una scatola di pillole lucenti e ne ingoiò dieci, per essere sicuro. Nudo e appiccicoso si adagiò sul letto, rotolandosi come un animale inferocito, fino a diventare una figura umana di carta.
Quando fu sazio, si mise in posizione supina sul materasso, una linea perfettamente verticale, ed emise il suo ultimo, lungo respiro.